Bem, l’anime horror che ha ha fatto conoscere il brivido a diverse generazioni ideato nel 1968 da Saburo Sakai. La serie dei tre mostri umani Bem, Bera e Bero è arrivata anche da noi nei primi anni ’80 e ha lasciato il segno, riscuotendo da subito l’interesse del pubblico italiano, ma anche spaventando i più piccoli.
Ai bambini della nostra generazione che nel 1982, ai tempi della messa in onda di Bem sulle reti italiane, avevano appena iniziato le elementari, erano preclusi per ovvi motivi quei film paurosi di cui al massimo potevano parlare di nascosto durante l’intervallo raccontandosi, e per molti versi inventando, plot sentiti per sommi capi dai fratelli più grandi.
Bem ha avuto il pregio di spalancare ai giovanissimi un genere narrativo che fino a quel momento era appartenuto solo agli adulti, creando storie gotiche fatte su misura per l’infanzia senza sacrificarne gli aspetti tetri ed inquietanti. E non lo faceva certo come facevano le controproposte americane che sdrammatizzavano creando situazioni comiche e versioni “buffe” delle tipiche figure del cinema horror anni ’50/’60: i mostri che si vedevano in Bem erano mostri veri, crudeli e terribili, e le storie erano decisamente paurose. Tanto paurose che durante la prima messa in onda vennero apportati anche dei tagli per evitare di turbare tropo il sonno delle famiglie.
Qualche esempio? Probabilmente la puntata che più mi aveva spaventato ai tempi (avevo sei anni) era quella dove i tre protagonisti arrivavano in una città popolata solo da donne e bambini, e questi ultimi stavano scomparendo uno dopo l’altro. Non vorrei fare uno spoiler a chi non avesse visto o non ricordasse l’episodio, ma la rivelazione che i padri nascosti stavano rapendo sistematicamente i figli per metterli in salvo dalle madri che periodicamente, a causa di una maledizione, erano condannate a trasformasi in mostri cannibali affamati di bimbi, devo confessare che qualche incubo in più me lo fece fare.
Le storie spaventavano, ma l’effetto catartico del lieto fine, il senso fermo della giustizia dei protagonisti e l’immancabile vittoria del bene sul male rendevano tutto più leggero, tanto che l’attrazione del brivido alla fine era superiore allo spavento vero e proprio.
Un’altra cosa che faceva tutto sommato sentire al sicuro era che i tre protagonisti, pur non essendolo nel vero senso della parola, erano una sorta di famiglia tipo composta da padre, madre e figlio in cui ci si poteva identificare. Nel loro peregrinare combattevano senza fare eccezioni mostri, fantasmi, demoni, uomini malvagi e malfattori di ogni sorta. La struttura delle storie era abbastanza a canovaccio: un evento scatenante, il piccolo Bero che finiva nei guai per aiutare qualcuno e i due “genitori” Bem e Bera che intervenivano per salvare gli innocenti, riportare la giustizia e punire i malvagi. Una struttura semplice, che forse poteva non catturare il pubblico adulto più smaliziato, ma sicuramente efficace per i più piccoli.
La cosa che però rendeva questa famiglia veramente atipica era che, malgrado la bontà e la generosità dei componenti, questa era formata in realtà da tre mostri nati da un misterioso esperimento e che giravano il mondo sotto false spoglie, fingendosi umani per quanto possibile. La loro stessa natura li costringeva ad essere sempre in fuga, temuti e disprezzati, in cerca di un riscatto che potesse dare a loro una vera umanità.
L’ambientazione, collocata in un periodo imprecisato tra gli anni ’30 e ’50 del ventesimo secolo, e l’atmosfera cupa e incombente sottolineata una soundtrack in stile Jazz riuscivano a coniugare in modo efficace il sovrannaturale con il noir, permettendo alle storie di spaziare tra il gotico, di stampo prettamente europeo senza rinunciare però ad alcuni tratti tipici delle leggende giapponesi, ed il gangster movie.
La serie classica creata nel 1968 da Saburo Sakai e Nobuhide Morikawa si compone di 26 episodi ed ha avuto due diversi adattamenti italiani: quello televisivo dei primi anni ’80 e quello più fedele all’originale, realizzato dalla Dynit nel 2001 e mandato in onda su MTV nello spazio Anime Night. Dopo la prima serie all’inizio degli anni ’80 in Giappone furono realizzati due episodi pilot per un’ipotetica seconda serie che però non fu mai prodotta. Caratteristica che si evince da questi due pilot è che probabilmente la produzione intendeva creare una versione addolcita della prima serie; altra cosa che salta all’occhio è il character design meno mostruoso di Bem e più “grazioso” di Bera e Bero.
Raffronto tra il character design della serie del ’68 (a sinistra) e dei due Pilot del 1982 (a destra)
Nel 2006, a una trentina d’anni di distanza dai due pilot, è stato fatto un nuovo tentativo di rilanciare Bem con un remake/reboot ambientato a i giorni nostri di 26 episodi. Quest’ultima serie non ha avuto però grande successo e di conseguenza anche la distribuzione internazionale è stata molto limitata. La serie del 2006 non è stata importata in Italia ed è difficile da reperire online anche solo in giapponese. Rispetto ai pilot della seconda serie mai realizzata, in questo Bem 2006 la caratterizzazione dei personaggi principali è più vicina a quella degli anni ’60.
Nel 2011 è stato poi realizzato un adattamento con attori in carne ed ossa sotto forma di dorama (il serial televisivo in stile nipponico), a cui ha fatto seguito un lungometraggio nel 2012.
Il registro e i temi sono molto distanti rispetto alla serie classica ed anche la caratterizzazione dei protagonisti ha subito un pesante re-style. La cosa che probabilmente fa più storcere il naso a noi fan della prima ora è la scelta portare in campo, trasformazione a parte, un Bem belloccio dal look visual-K, interpretato da un efebico Kazuya Kamenashi, attore televisivo, cantante e ballerino celebre anche per aver militato nella boy-band KAT-TUN. Il nuovo Bem, sottile, di piccola statura e dai tratti femminei è una figura distante miglia dall’inquietante energumeno calvo e dalle sembianze demoniache che era il Bem classico nella sua forma umana.
In realtà il cambio è in parte motivato nella storia facendo aleggiare una figura misteriosa che richiama il primo Bem, stratagemma che però non riesce a nascondere le finalità di marketing dietro alla scelta visual, tra l’altro assolutamente coerente con lo stile generale del TV dorama nipponico.
Discorso simile anche per le versioni live-action in forma umana di Bera e Bero, troppo avvenente lei e troppo carino lui per trasmettere quel senso di disagio che davano i personaggi originali. Più interessanti le versioni dei protagonisti trasformati in mostri, anche se con qualche riserva sugli effetti speciali.
Malgrado l’ingenuità di fondo delle storie, che potrebbe far storcere il naso al pubblico degli anni 2010, a quasi cinquant’anni di distanza dalla sua realizzazione la prima serie di Bem conserva un gran fascino vintage, e guardandola si può ancora respirare quel senso di inquietudine che ha reso insonni le notti di chi era bambino nel 1968 in Giappone e nel 1982 in Italia.