Riscoperte: Ergo Proxy!

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Serie “post-cyberpunk” firmata Manglobe di una decina di anni fa. Ergo Proxy è sicuramente una serie da riscoprire per chi piace la fantascienza distopica a tinte fosche e con personaggi solidi che vanno ben oltre gli stereotipi di genere.

La storia del mio primo incontro con Ergo Proxy risale a una decina d’anni fa. Vidi per caso il primo episodio su un sito di streaming di un fan-sub americano.
Purtroppo la visione non fu il massimo perché la qualità del video era molto bassa, cosa assolutamente deleteria per una serie fatta quasi completamente di colori “desaturati” e scene in ombra.

Re-l e il suo AutoReiv (automa/schiavo) Iggy

Oltretutto anche i dialoghi ellittici, troppo complessi per essere seguiti in giapponese e sottotitolati in inglese in modo un po’ approssimativo, non aiutavano alla comprensione. Inutile dire che un contesto così lo-fi non mi invogliò a proseguire con gli altri episodi su quel canale.
Le impressioni lasciatemi dal primo contatto con la serie malgrado tutto furono però assolutamente positive, mi feci quindi una nota mentale sotto la categoria “cose interessanti da approfondire” in attesa di una versione italiana ufficiale e degna.
Però… un po’ me ne dimenticai. E per una strana fatalità, visto che la serie ha avuto un adattamento italiano nel 2008 (tra l’altro di ottima fattura e con un ottimo cast) ed è stata trasmessa anche sulle nostre reti, non ci entrai più in contatto per una decina di anni.

La piccola Pino: bimba-automa, è uno dei personaggi più controversi e affascinanti

Fino a quando non mi sono recentemente imbattuto nell’annuncio dell’uscita per questo settembre di un box Blu-ray di un titolo di cui, fino a quel momento, conservavo vaghi ricordi e sulla cui copertina capeggiava l’immagine di una donna in nero che sembrava uscita da un fumetto scritto da Neil Gaiman.

Da grande amante della fantascienza in genere mi chiedo, come ho potuto far passare ben dieci anni senza Ergo Proxy?!?

Prima tutto bisogna notare che Ergo Proxy è un prodotto del 2006 del compianto studio Manglobe, che aveva debuttato da poco con il brillante Samurai Champloo nel 2004 e che ha chiuso l’attività nel 2015 con Gangsta (diretto tra l’altro da Shūkō Murase, il regista di Ergo Proxy).
Manglobe, come Bones, era uno studio di animazione creato da professionisti usciti dalla Sunrise e nel corso degli anni aveva puntato su produzioni con un taglio innovativo che, purtroppo, in molti casi hanno incontrato poco successo commerciale. Viene in mente a riguardo il caso di Saraiya Goyou (House of the Five Leaves) del 2010, un’affascinante storia di “samurai rapitori” sicuramente di qualità e molto particolare sia come regia che come realizzazione. Forse un po’ troppo particolare visto lo scarso riscontro di pubblico…

Monad, una delle facce del Proxy…

Ergo Proxy è un anime che contiene molteplici riferimenti alla letteratura internazionale, al cinema fantascientifico e ad alcuni blasonati predecessori dell’animazione giapponese.
A volte quando i riferimenti diventano troppi, se non si riesce ad amalgamarli in modo che acquistino credibilità all’interno della storia, si corre l’altissimo rischio di creare un miscuglio indigesto di citazioni senza ragione d’essere nell’economia della narrazione. È il caso di rimarcare da subito che, malgrado i timori in me suscitati dall’impatto con i primi pochi minuti del primo episodio, in Ergo Proxy questa cosa non avviene. Anzi, i disparati elementi di cui è composto qui uniti acquisiscono una prospettiva propria e portano lo spettatore verso intuizioni assolutamente originali.

Il misterioso e terribile Proxy

Il merito della sceneggiatura di Dai Sato (sceneggiatore già in Cowboy Bebop, Ghost in The Shell: Stand Alone Complex, Wolf’s Rain, Samurai Champloo, Eureka Seven…) è appunto quello di aver creato un mondo organico dove convivono elementi, tra gli altri, di Ghost In the Shell, Battle Angel Alita, Blade Runner, Alexander e molti spunti tratti dalla fantascienza classica (le Cronache Marziane di Bradbury, i robot che sognano di Asimov…), dalla letteratura (l’onirismo di Borjes, il simbolismo del Pinocchio di Collodi…), dalla filosofia europea e dall’esistenzialismo.

Le basi della storia sono tipiche di genere: l’umanità che vive in città cupola per sopravvivere ad un disastro ecologico, la divisione degli abitanti tra un’élite di concittadini e un vasto numero di migranti ghettizzati e la presenza di umanoidi artificiali impiegati per i lavori più umili chiamati AutoReiv .
In questo contesto la storia si sviluppa a partire da un virus informatico di Shirowiana memoria chiamato Cogito che infetta gli AutoReiv dando loro coscienza della propria esistenza; a complicare il tutto c’è la fuga dai laboratori segreti della cupola di un essere dalle sembianze mostruose chiamato Proxy
Nonostante questi elementi possano in qualche modo sapere di già visto, bisogna dire che sono incastrati egregiamente nella trama, sono elaborati nel modo giusto per farli funzionare ed aprire la storia a sviluppi inconsueti.

Ruolo importante è stato ovviamente quello del regista Shukō Murase, alla seconda regia generale dopo Witch Hunter Robin, già professionista navigato come direttore dell’animazione e chara-designer per molti anime Sunrise. Contattato dalla produzione a progetto già avanzato si concentrò a dare al fanta-poliziesco originale una dimensione esistenzialista. Con la regia di Murase, in Ergo Proxy anche i momenti d’azione frenetici hanno il loro carico di elementi simbolici che danno una vibrazione particolare alla storia.

Da notare poi il grande lavoro svolto nell’approfondimento dei personaggi. Sebbene di partenza si collochino in ruoli tipici del genere fanta-noir (l’investigatore, il fuggitivo, l’ufficiale incaricato di risolvere la crisi, lo scienziato, l’automa…), riescono sempre ad avere delle caratteristiche che li spostano dal mero canovaccio e man mano acquistano una dimensione sempre più vivida, evolvendosi e crescendo con la storia.

Vincent Law

Ad esempio, è particolare il trattamento che la sceneggiatura riserva a Vincent Law, debole migrante e in quanto tale ghettizzato, che nei primi episodi sembra quasi un personaggio secondario per poi rivelarsi un elemento chiave, delineato poi con una credibilità umana invidiabile. Una cosa simile avviene anche per Re-l Mayer, investigatrice dal carattere all’apparenza deciso ed introverso, che di primo acchito sembra un clone senza parti cyborg di Motoko Kusanagi di Ghost In The Shell, ma si dimostra presto molto diversa: tutt’altro che “invincibile“, con poche sicurezze, tanti difetti e contraddizioni, ma nello stesso tempo davvero intrigante.
Una curiosità: nelle intenzioni iniziali degli autori Re-l doveva essere una figura di secondo piano, una volta delineata però ha acquisito una tale forza che è passata al ruolo di co-protagonista assieme a Vincent ed è diventata il personaggio-icona della serie.

Re-l Mayer

Corona il tutto la bella colonna sonora con le bg-music di Yoshihiro Ike, l’opening “Kiri” della band giapponese Monoral, che già da sola rende in modo perfetto l’atmosfera emotiva della serie, ed un’inaspettata “Paranoid Android” dei Radiohead come sigla di coda (mai titolo fu più indicato visto il tema della storia).
Altra curiosità: prima di concedere i diritti per l’utilizzo del brano la band inglese ha preteso di vedere una preview della serie con l’intenzione di dare l’OK solo se l’avesse reputata a livello.

In conclusione: una serie costruita con elementi di partenza magari non del tutto inediti, ma che gioca decisamente molto bene le sue carte, che sa stupire, emozionare e rinnovarsi di episodio in episodio. Da vedere se non si è ancora vista, da rivedere se si ha voglia di un vero SCI-FI di inizio millennio…

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