A distanza di anni in molti se lo sono chiesti: come hanno fatto Yoshiyuki Tomino e soci nel 1979 a far accettare ai finanziatori e ad un sistema ormai radicato, consolidato su un target molto giovane, una serie rischiosa concepita per un pubblico assolutamente diverso e non ancora collaudato? Parallelamente alla guerra descritta nell’anime MS Gundam, ne veniva combattuta un’altra nella realtà tra lo staff Sunrise capitanato da Yoshiyuki Tomino e il business dell’animazione giapponese.
Lo spunto per questa digressione ci viene dal manga Gundam Sousei (Gundam la Genesi) di Hideki Ōwada che narra delle “vere” origini di Mobile Suit Gundam (più brevemente MS Gundam). Ōwada rielabora in tono ironico, romanzandole in puro stile manga, le vicende che hanno portato alla realizzazione di quello che a metà dell’opera sembrava destinato ad essere un flop colossale, ma che si è poi rivelato essere un successo imperituro.
Tomino, come viene ritratto in Gundam Suisei, mentre presenta ai finanziatori
la sua idea per la serie di IDEON con un Bluff colossale.
Limando gli aspetti più leggendari e romanzeschi e concentrandosi solo su alcuni dei tanti spunti del manga, cerchiamo di individuare i momenti salienti dell’impresa di Yoshiyuki Tomino, Yoshikazu Yasuhiko, Kunio Okawara e dei loro compagni di ventura dell’allora Nippon Sunrise.
La cover di Gundam Sousei (Gundam la Genesi) di Hideki Ōwada
Il punto di partenza delle serie robotiche negli anni ’70 era il mercato del giocattolo. Diversamente da oggi, dove l’importanza del merchandise in generale è comunque fondamentale e la figure o il kit robotico di sorta sono destinati ad un pubblico di adulti, l’elemento trainante era quello dei giocattoli per i più piccoli, non particolarmente fedeli agli originali animati ma abbastanza solidi per essere manovrati da bambini.
Il primo investitore per la nuova serie di Yoshiyuki Tomino del 1979 era la Clover, ditta che aveva già prodotto le versioni giocattolo di altri robot targati Sunrise come Daitarn 3 e Zambot 3. La Clover produceva soprattutto diecast, misti plastica e metallo; come molti dei finanziatori e delle case di produzione cinematografiche del periodo anche alla Clover non riuscivo ad concepire una serie televisiva animata con robot per un pubblico che non fosse infantile.
Le prime ingerenze dal punto di vista creativo furono sul design dello stesso Gundam. L’idea di creare una tipologia di robot che non fosse una specie di super-eroe ma che fosse impiegato come vera arma sul campo di battaglia presupponeva alcuni elementi realistici. Ad esempio molti sapranno già che MS Gundam fu in pratica la prima serie robotica dove nello sviluppo del design si teneva conto della plausibilità e della mobilità delle articolazioni dei mezzi meccanici. Oltre allo studio sulle giunture un altro elemento chiave per il realismo era la colorazione.
Visto che i veri mezzi ad uso bellico per questioni palesi non usano colorazione sgargianti come si era soliti invece usare sui super-robot delle serie precedenti, il concept design del Gundam perorato da Tomino e soci era quello un robot praticamente monocromatico in grigio e bianco. Questa scelta però fu cassata dai finanziatori della Clover per il fatto che era opinione assodata che i colori che attirano di più i bambini sono i colori primari.
La colorazione scelta alla fine fu un compromesso cercando di tenere la dominante bianca il più possibile, ma inserendo anche il giallo, rosso e blu in quantità sufficiente per essere considerato la base valida per un giocattolo.
Di contro quelli della Clover non ebbero nulla da dire sul design dello Zaku, pensando che si trattasse del solito robot nemico che si vede in un singolo episodio per poi scomparire. Anche in questo caso dimostrarono di non aver capito la serie, perché lo Zaku, dal design a metà tra un’armatura medioevale, una divisa prussiana con maschera anti-gas e con i colori di un carro armato, è presente in tutto MS Gundam e oltre. Lo stesso Zaku è diventato un punto di partenza fondamentale per il modo intendere i real-robot negli anni a venire.
Una colorazione più consona alla concezione di Tomino e impiegata per il modello G3 apparso nei romanzi dedicati a MS Gundam
Non facendo la serie vendere abbastanza giocattoli, la Clover creò non pochi grattacapi allo staff di MS Gundam anche nella fase avanzata della programmazione televisiva. Per cercare di aumentarne le vendite, Tomino e suoi si inventarono a malincuore nuovi mezzi più “giocattolosi” da inseire nella serie, come il G-Fighter, una specie di armatura volante/aereo di trasporto/scatola vuota componibile con il Gundam mirato al pubblico più giovane.
G-Fighter
La prima messa in onda della serie si andò a scontrare con indici di ascolto molto bassi, non coinvolse particolarmente i più giovani ma seppe comunque gradualmente conquistare un nuovo pubblico formato da adolescenti e giovani adulti.
Del resto i più piccoli, abituati a anime con puntate costruite a canovaccio e con elementi consolidati, faticarono di primo acchito a rapportarsi con una narrazione a episodi concatenati, a combattimenti tattici fatti di attacchi lampo e ritirate strategiche, al protagonista che non gridava il nome dell’arma prima dell’attacco e ai nodi della vicenda giocati più sulla chiave dell’intrigo bellico che della pura azione. L’universo di Gundam, che aveva più similitudini con quello delle space opera della fantascienza classica piuttosto che con i capostipiti del genere robotico come Mazinga, trovava molti più consensi tra adolescenti e ventenni.
La cosa però determinò anche le scarse vendite dei giocattoli dedicati alla serie televisiva: queste furono così basse che la serie venne cancellata. Nonostante i 50 episodi previsti le eminenze grige decisero di interromperla a 39. Dopo diverse contrattazioni, Tomino e i suoi riuscirono a trovare un compromesso con i finanziatori arrivando ad ottenere almeno 43 episodi, in modo dare un finale dignitoso alla storia.
Ora della fine della serie però, si affacciò sulla scena un nuovo partner per il merchandise, la Bandai, che iniziò a produrre kit componibili in plastica di Gundam e Zaku. Il target di questi kit si spostò gradualmente negli anni a venire dai bambini ai modellisti. Dopo una prima tiepida accoglienza le vendite iniziarono a crescere e a tutt’oggi il Gunpla (Gundam Plastic Model) è l’ingranaggio trainante di tutto il marketing relativo alle serie sui Mobile Suit.
I modelli Bandai in plastica dei primi anni ’80.
All’annuncio della cancellazione di Mobile Suit Gundam, diffuso tramite le riviste specializzate nel tentativo di far uscire allo scoperto i fan, si scatenarono moltissime proteste da parte degli appassionati. A causa del ritrovato interesse di pubblico le reti televisive dovettero programmare una replica praticamente subito dopo la conclusione della prima messa in onda. Forti di un nuovo potere contrattuale acquisito, lo staff di Gundam riuscì poi a trovare i mezzi per produrre una riduzione cinematografica della serie condensata in una trilogia, con nuove scene e materiale originale rivisto e corretto. Una cosa che salta all’occhio nei film è ovviamente la scomparsa dell’odiato G-Fighter.
Anche riuscire a far produrre una trilogia non fu però impresa da poco. Infatti i nuovi partner acquisiti avevano dato il nullaosta per un solo film. A rendere possibile l’intera trilogia fu ancora il supporto dei fan, che grazie a un’accurata strategia di comunicazione, che si appoggiava anche sulla stampa specializzata, furono sempre più coinvolti.
Il culmine di questa strategia fu un evento promozionale organizzato a Shinjuku il 22 febbraio 1981, dove contro la partecipazione prevista di 2000 persone se ne presentarono 20000, compresi alcuni fan vestiti come i personaggi dell’anime. Quello fu documentato come uno dei primi eventi pubblici con cosplayers della storia e segnò la “nascita del mito”.
Queste e molte altre storie si trovano in Gundam Sousei, fumetto del 2009 edito Kadokawa Shoten. Una pubblicazione italiana, sperando almeno per il quarantennale della serie nel 2019, non sarebbe disprezzabile…